raja yoga

Raja significa re: un re agisce in modo indipendente e ha fiducia in se stesso. Allo stesso modo, un Raja Yogi è autonomo e senza paura e il Raja Yoga è il percorso dell’autodisciplina e della pratica che intraprende.

Il Raja Yoga è anche conosciuto come Ashtanga Yoga (Yoga degli Otto Passi). Questi ultimi forniscono istruzioni sistematiche per raggiungere la pace interiore, la trasparenza, l’autocontrollo e la realizzazione.

Yama: autocontrollo – Raja Yoga

Questo stadio prevede cinque regole:

Ahimsa – Non violenza

Ahimsa significa non causare dolore o danno a nessun essere vivente attraverso il pensiero, parola o azione. La non violenza implica, ovviamente, il non uccidere ma anche il consumo di carne richiede la morte di un animale: è a causa di questo principio che gli Yogi sono vegetariani. Gli animali hanno un forte istinto che li porta a percepire la morte imminente. Riescono a capire quando verranno massacrati e, in quell’attimo, gli ormoni della paura e dello stress vengono rilasciati in tutto il corpo. Questi ormoni rimangono nella carne dell’animale macellato venendo, in seguito, mangiati dalle persone ignare; il che darebbe origine a molte paure, nevrosi e psicosi apparentemente infondate.

Satya – Verità

Dire sempre la verità è senz’altro la cosa giusta da fare, ma ancora più importante è il modo in cui lo facciamo. Abbiamo la capacità di scagliare la verità contro qualcuno come se fosse un coltello, ma siamo anche in grado di abbellire la stessa verità con parole amorevoli. Per non violare il principio di Ahimsa, come menzionato sopra, dovremmo seguire il consiglio di Mahaprabhuji, che ha detto: “Ognuna delle tue parole dovrebbe cadere come fiori dalle tue labbra”.

Essere sinceri significa anche non nascondere i propri sentimenti, non essere evasivi o inventare scuse. Forse per un po’ possiamo nascondere il nostro vero volto agli occhi degli altri, ma c’è sempre almeno una persona che conosce la nostra verità interiore – il nostro essere. La nostra coscienza è una testimonianza.

Asteya – Non rubare

Asteya indica che non bisognerebbe mai prendere qualcosa che appartiene a un altro e con ciò non si intendono solo oggetti materiali, ma anche beni astratti, come privare qualcuno di un’opportunità, speranza o gioia. Anche lo sfruttamento della natura e la distruzione dell’ambiente rientrano in questa categoria.

Brahmacharya: stile di vita Puro

Brahmacharya è spesso tradotto come astinenza sessuale ma in realtà sottintende molto di più. Brahmacharya significa che i nostri pensieri dovrebbero essere sempre rivolti a Dio ma ciò non implica che dovremmo trascurare i nostri doveri terreni. Al contrario, dovremmo adempiere a queste responsabilità con grande cura, ma tenendo sempre bene in mente che: “Io non sono colui che agisce, Dio solo è colui che agisce”.

Aparigraha: non accumulo di proprietà

Non dovremmo accumulare beni, ma acquisire e usare solo ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Chi ha molti possedimenti, infatti, ha anche molte preoccupazioni. Siamo nati senza effetti personali e quando abbandoniamo questo mondo, ci lasciamo tutto alle spalle. Non accumulare, tuttavia, vuol dire anche concedere alle persone la loro libertà, non trattenerle. Nel lasciar andare, ci liberiamo anche noi. Pertanto, dare la libertà equivale a essere liberi.

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Niyama – Disciplina – Raja Yoga

Consiste in cinque principi:

Shauca – Purezza

Non solo purezza esterna, ma soprattutto interiore. I nostri vestiti, il nostro corpo, così come i nostri pensieri e sentimenti dovrebbero essere puri. Lo stesso vale per le persone di cui ci circondiamo: per il nostro sviluppo spirituale è essenziale essere in compagnia di persone che esercitano una buona influenza su di noi, che danno importanza alla spiritualità e ci supportano con la loro saggezza.

Santosh – Contentezza

La contentezza è il più grande tesoro che potremo mai possedere. Il poeta indiano Tulsidas disse: “Puoi possedere miniere d’oro e pietre preziose, ma il malcontento interiore è in grado di distruggere ogni ricchezza”. Potremo raggiungere la vera contentezza solo quando riusciremo a comprendere che tutti i beni terreni arrecano delusioni, e che la ricchezza interiore dona molta più felicità dei beni materiali.

Tapa: autocontrollo, autodisciplina

Nella vita, quando incontriamo avversità e ostacoli, non dovremmo mai arrenderci. Piuttosto dovremmo continuare con determinazione il nostro percorso con la pratica, autodisciplina, pazienza e perseveranza: solo questa è la chiave del successo.

Svadhyaya – Studio delle Sacre Scritture

Come aspiranti Yogi dovremmo familiarizzare con le scritture tradizionali della filosofia Yoga, come la Bhagavad Gita, le Upanishad, i Yoga Sutra di Patanjali, ecc. Grazie a queste scritture è possibile acquisire conoscenze preziose che ci saranno di aiuto nel nostro percorso Yoga.

Ishvara Pranidhana – Devozione a Dio

È bene rivolgere tutto ciò che si fa con pura devozione a Dio. Dio protegge tutti coloro che si arrendono con fiducia e fede.

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Asana – Esercizi fisici – Raja Yoga

Pranayama – Esercizi di respiro

Nel processo di controllo del corpo e del respiro, i Raja Yogi riescono a ottenere anche il controllo della mente risvegliando così quei poteri interiori che ci faranno da guida sul sentiero spirituale.

Pratyahara – Ritiro dei sensi

Gli Yogi possono dirigere la mente e i sensi a piacimento, sia all’interno che all’esterno; proprio come una tartaruga può ritirare i suoi arti e la testa sotto il suo guscio ed estenderli di nuovo. Una volta effettuato il Pratyahara, si diventa indipendenti dalle condizioni esterne ed è possibile, se lo si desidera, utilizzare i propri sensi con piena consapevolezza.

Nelle prime fasi della meditazione, il Pratyahara si pratica mantenendo il corpo immobile, gli occhi chiusi, la mente calma e l’attenzione rivolta verso l’interno. Esistono tecniche speciali attraverso cui praticare il Pratyahara. Un esercizio di meditazione inizialmente indirizza l’attenzione sui suoni esterni, sulla loro natura, distanza, ecc. ma a poco a poco la consapevolezza si indirizza verso lo “spazio interiore” e i suoni all’interno del corpo (battito cardiaco, circolazione sanguigna, ecc.). Solo una volta imparata la tecnica di Pratyahara, potremo raggiungere la piena concentrazione.

Dharana – Concentrazione

Dharana significa focalizzare i propri pensieri e sentimenti su un singolo oggetto. Di solito ci riusciamo solo per poco tempo, prima che arrivino altri pensieri a distrarci e ci rendiamo conto della nostra mancanza di concentrazione dopo pochi minuti. Fino a quando non saremo in grado di concentrarci su un pensiero o un oggetto per un certo lasso di tempo, in qualsiasi circostanza, non riusciremo a dominare Dharana.

La meditazione della candela (Trataka), Asana e Pranayama nello specifico, così come la ripetizione del Mantra, aiutano notevolmente a migliorare la capacità di concentrazione.

Dhyana: meditazione

Tutte le tecniche di meditazione sono in realtà solo esercizi che ci preparano alla vera meditazione. Non si può imparare a meditare, proprio come non possiamo “imparare” a dormire: il sonno, infatti, arriva solo quando il nostro corpo si rilassa. Allo stesso modo, la meditazione ha successo solo quando la mente è calma. Nella meditazione non c’è spazio per l’immaginazione, perché quest’ultima nasce dall’intelletto. Possiamo confrontare il cervello umano con un potente computer con un’enorme capacità di archiviazione: tutti i dati dell’Universo possono essere memorizzati lì, ma sarà comunque limitato. Il nostro cervello può solo riprodurre ciò che è stato inserito in esso, mentre in meditazione sperimentiamo l’essere puro. Nel momento in cui l’intelletto è fermo e l’ego individuale cessa di esistere, la luce divina brilla nel cuore e noi diventiamo una cosa sola con esso.

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Samadhi – Realizzazione completa

Samadhi è il luogo in cui il conoscitore, la conoscenza e l’oggetto della conoscenza si uniscono. Il conoscitore (cioè la persona che pratica), la conoscenza (cioè in cosa consiste Dio) e l’oggetto della conoscenza (cioè Dio) diventano una cosa sola: in questo modo ci si unisce alla coscienza divina. Coloro che raggiungono il Samadhi vedono una luce celeste e radiosa, ascoltano un suono soave e sentono dentro di sé una distesa infinita. Quando viene raggiunto il Samadhi, siamo come un fiume che finalmente sfocia nel mare dopo un lungo e difficile viaggio. Tutti gli ostacoli vengono superati e il fiume si unisce all’oceano. Allo stesso modo, uno Yogi che arriva alla fine del percorso, diventa un tutt’uno con la Coscienza Suprema. La coscienza dello Yogi trova l’eterna quiete, pace e felicità: è liberato. È arduo spiegare a parole questa esperienza perché:

solo chi ha assaggiato il latte, sa com’è il sapore del latte;
solo uno che ha provato dolore, sa cos’è il dolore;
solo chi ha amato, sa cos’è l’amore;
e così solo uno che ha sperimentato il Samadhi, sa cos’è il Samadhi.

In questo stato, tutta la dualità si dissolve. Non c’è né giorno né notte, oscurità o luce, qualità o colore. Tutto è uno nel Sé supremo e questa unione dell’anima individuale con l’anima cosmica è esattamente l’obiettivo dello Yoga.

Vorrei consigliarti una lettura approfondita sul Raja Yoga, un libro di Paramhansa Yogananda.