Bhakti Yoga

“Il viaggiatore più antico del mondo è l’amore”, così diceva Swami Rama ai suoi studenti. “Molti seguono il Bhakti Yoga, il percorso dell’amore e della devozione, ma non è così facile come si potrebbe sembrare. Il Bhakti Yoga non è la strada per dei seguaci ciechi.”

Non si tratta solo di canti e di offerte, aveva sottolineato. Piuttosto, è necessario avere il coraggio di affrontare i lati più nascosti del nostro essere e di offrire tutto ciò che siamo al Divino, sia il bene che il male, senza trattenere nulla. Si tratta di una completa dedizione e della trasformazione di tutto ciò che facciamo nella nostra vita quotidiana in atti di adorazione. “Unisci l’amore alle tue azioni”, diceva Swamiji; e questo vale sia se si portano i propri figli a scuola, se laviamo i piatti, o eseguiamo lavori stressanti. Imparando a essere più consapevoli della nostra devozione, riusciremo trasformare le nostre vite in modo che siano piene di pace, amore, gioia e armonia.

Che cos’è il Bhakti Yoga?

Secondo la Narada Bhakti Sutra, la Bhakti è un intenso amore per Dio. È un profondo desiderio di sperimentare l’amore nella sua forma più pura e alta e di unirsi a ciò che è eterno e immutabile. Possiamo vederlo attraverso le nostre relazioni terrene, specialmente con coloro che ci stanno più a cuore: come afferma la Brihadaranyaka Upanishad, non amiamo veramente gli altri per il loro bene, ma piuttosto per il Sé Divino che risiede in loro.

Il percorso del Bhakti Yoga ci consente di utilizzare tutti i nostri sensi, le nostre emozioni e le nostre azioni per esprimere l’amore attraverso le nostre interazioni quotidiane e offrirle a Dio in ogni sua forma, a seconda delle nostre credenze personali o dell’educazione culturale, sia esso Krishna, Cristo, Allah, Yahweh, Hanuman, la Divina Madre o chiunque altro. Nel Bhakti Yoga, nessun Dio è superiore a un altro. Ognuno è ugualmente rispettato come valida manifestazione dell’unico principio alla base della pura coscienza.

I Sutra Bhakti spiegano che il Bhakti Yoga è sia il mezzo che il fine: aparabhakti, o bhakti inferiore, è il modo di coltivare e approfondire la devozione, e parabhakti, o bhakti superiore, è l’unione con il Divino, l’obiettivo finale.

La natura intrinseca della parabhakti è la felicità immortale. Una volta raggiunta, si diventa liberi dalla sofferenza e completamente soddisfatti, poiché non si hanno più desideri. Sant’Anselmo di Canterbury scrisse: “Ho trovato una gioia più che piena; perché quando il cuore, la mente e l’anima sono pieni di quella gioia, quest’ultima rimarrà anche oltre.” Dopo un’iniziale intossicazione, attraverso la beatitudine è possibile sperimentare la gioia del silenzio interiore e nel profondo di questo, realizziamo una completa unità con gli altri e capiamo che siamo tutti uguali: non c’è separazione.

Attraverso la bhakti inferiore, o aparabhakti, possiamo prepararci a ricevere la grazia della bhakti superiore. È un modo per incanalare e trasformare le nostre potenti emozioni in espressioni positive e creative di amore e devozione a Dio.

Bhakti Yoga tramonto simboli

3 Fasi di Aparabhakti – Bhakti Yoga

Ci sono tre fasi che un devoto sperimenta lungo il percorso di aparabhakti: la fase della luna di miele, la fase del deserto e lo stato di resa e grazia.

1. La luna di Miele

Proprio come in una relazione sentimentale, c’è una fase iniziale di innamoramento lungo il sentiero che sfocia nella devozione. Si tratta di un momento in cui è tutto nuovo, fresco e pieno di speranza. Potremmo cercare da soli la nostra strada verso Dio, ma di solito siamo attratti dalla guida di un insegnante spirituale. In questa fase, il nostro insegnante potrebbe inondarci di amore e attenzione e probabilmente, durante la nostra meditazione, proveremo un nuovo senso di calma e pace. Potremmo provare anche sensazioni di gioia e luce mentre sperimentiamo per la prima volta il nostro Sé interiore e, in quel caso, non riusciremo ad aspettare di sederci in meditazione.

Lo stadio della luna di miele di solito prevede alcune forme di adorazione esterna. Possiamo creare un altare intorno a qualsiasi cosa abbia un significato speciale per noi, come una statua o un’immagine della divinità che abbiamo scelto, una candela e/o un elemento naturale; ed eseguire dei rituali con fiori, frutta, incenso e/o lampade al ghee. Il nostro insegnante potrà farci fare pratica con uno yantra.

La cosa più bella di questo percorso è che siamo liberi di offrire tutto ciò che sentiamo al Divino. Non è necessario sopprimere nessuna delle nostre emozioni. Il saggio Vivekananda disse: “Cerca solo di intensificarle e indirizzarle a Dio”.

Allo stesso modo dei dervisci rotanti sufi che eseguono la loro danza come un dhikr, un ricordo di Dio; è possibile offrire il proprio amore attraverso la danza, l’asana che apre il cuore o altre forme di movimento. Possiamo esprimere il nostro intenso desiderio di conoscere Dio anche attraverso la scrittura di poesie devozionali o la creazione di opere d’arte spirituali. Possiamo, inoltre, trovare ispirazione leggendo e condividendo gli scritti spirituali di santi e grandi saggi, come Kabir, Tagore, Rumi e Mirabai.

Anche se non avvertiamo subito i sentimenti di devozione, dobbiamo continuare a sforzarci: tutto ciò che facciamo – preghiere, canti, letture delle Scritture e meditazione – ci avvicina sempre di più alla consapevolezza della Divinità che risiede nel profondo del nostro cuore.

La preghiera è un modo semplice ma molto efficace per connettersi con il Divino. Swami Rama aveva affermato che esistono due tipi di preghiera: la preghiera centrata sull’ego e la preghiera autentica. Nella prima ci avviciniamo a Dio per chiedere favori mentre la seconda, la vera preghiera, viene dall’interno.

In questa sacra preghiera interiore, aveva detto Swamiji, non preghiamo il Divino esterno, “ma il più alto principio dentro di noi – e non per eventuali favori o doni ma piuttosto per la forza di affrontare e risolvere con serenità i mille problemi che riempiono le nostre vite. Tali preghiere, essendo completamente disinteressate e pure, ricevono sempre risposta.”

Ringraziamo per il nuovo giorno, per tutto ciò che abbiamo, anche le cose più semplici, come acqua pulita, luce solare, risate.

La vera preghiera include gratitudine. Come disse Meister Eckhart, “Se in tutta la tua vita dicessi anche un’unica preghiera, e questa fosse ‘Grazie’, allora sarebbe sufficiente.”

Il canto è un modo potente per incanalare le emozioni. Cantare la lode e la gloria dei molti nomi del Divino solleva e purifica il nostro spirito, sia che lo facciamo da soli che con gli altri. I cantanti gospel e gli artisti kirtan inondano le sale da concerto di suoni sacri, aprendo menti e cuori a una realtà superiore.

La contemplazione è un’importante pratica di accompagnamento alla devozione. La conoscenza ci aiuta a discriminare tra ciò che è eterno e immutabile e ciò che è fugace e impermanente. Senza una solida base filosofica (jnana yoga) e una direzione e un obiettivo chiari, un devoto può perdersi nella sua emotività.

Iniziamo studiando una scrittura stimolante, come la Bhagavad Gita, i Bhakti Sutra, la Bibbia o il Corano. Possiamo prendere in considerazione solo dei versetti o scegliere un commento e leggere un capitolo al giorno: questi insegnamenti ci aiuteranno a creare un quadro filosofico per permetterci di vedere la vita in un contesto spirituale più ampio. Possiamo anche formare un gruppo di discussione per uno studio più approfondito.

Il japa, o recitazione di un mantra, crea un solco, una profonda impressione positiva nella nostra mente inconscia. Ripetendo il nostro mantra quotidianamente, sia nella meditazione che durante le nostre attività quotidiane, i nostri pensieri negativi inizieranno a indebolirsi. Il mantra dà alla nostra mente un punto focale e ci permette di approfondire la nostra connessione con il Divino. Per coltivare il bhakti Yoga mentre facciamo il nostro japa, dobbiamo concentrare la nostra consapevolezza al centro del nostro cuore (a meno che l’insegnante non ci indichi diversamente).

Alla fine della pratica, prendiamoci del tempo per sederci in silenzio e goderci l’immobilità. Apriamoci per ricevere l’amore e la saggezza affidando tutte le nostre preoccupazioni al Divino, lasciandoci nutrire e guidare. Una volta terminata la meditazione, poi, riversiamo questa consapevolezza spirituale e questo senso di compassione in ogni attività quotidiana.

immagine del deserto

2. Il Deserto

Nessuno di noi vorrebbe che la fase della luna di miele finisse, ma se siamo motivati a continuare il nostro cammino spirituale, giungeremo più in profondità fino a trovarci nella fase del deserto, o quella che San Giovanni della Croce chiamava “la notte oscura dell’anima”. Qui è dove si fa più fatica, proprio come un seme che deve far crescere le sue radici nel terreno oscuro prima che possa sbocciare nella luce.

La fase del deserto è un momento di grande sforzo e secchezza spirituale, un momento in cui potremmo dubitare della nostra fede e interrogarci sul perché facciamo meditazione. A questo punto, un insegnante può essere in grado di allontanarci e, allo stesso tempo, di attirarci in profondità nella caverna del nostro cuore. In questa fase, siamo bloccati in una terra di nessuno, né completamente all’esterno né totalmente all’interno.

Si tratta di una parte del viaggio che ogni ricercatore deve attraversare, spesso molte volte. Il saggio Ramakrishna diceva che piangiamo per tutto tranne che per Dio. Quando piangeremo per Dio nello stesso modo in cui un uomo che sta annegando ansima per respirare, allora lo conosceremo davvero.

La principessa indiana Mirabai lasciò il suo regno e trascorse anni a vagare alla ricerca del Signore Krishna, scrivendo canzoni d’amore e angoscia: “Persa sono salva per amore Tuo. / Nessuno può conoscere la profondità della mia disperazione, i miei momenti di stanchezza. / A meno che tu non stenda la tua mano amica, / Come posso raggiungere l’ulteriore riva?

La separazione può essere ancora più potente dell’essere con la persona che si ama: quando siamo totalmente concentrati sul nostro Amato e il profondo desiderio per lui, la nostra mente e il nostro cuore si purificano con le nostre lacrime di desiderio e la nostra meditazione diventa un punto fermo.

Durante questa fase, proviamo a immaginare di essere racchiusi nel palmo di Dio e confidiamo che il Divino ci porterà fuori da questa notte oscura di separazione, non importa quanto tempo ci vorrà.

FEDE

Santa Teresa d’Avila impiegò quasi 20 anni per compiere il suo cammino. Il suo problema, scrisse nella sua autobiografia, era che non riusciva a smettere di flirtare con gli uomini. Alla fine capì che tali impulsi sono in realtà l’espressione di un desiderio interiore per il Divino. Quando ci prendiamo cura del bisogno interiore più profondo, gli impulsi esterni scompaiono da soli. Swami Prabhavananda affermò che quando mettiamo al primo posto il Divino, è come se ci fosse un potente magnete che ci tira verso l’alto, lontano dalla spinta dei nostri impulsi più infimi.

È importante ricordare che il lavoro interiore continua a livello sottile fintanto che continuiamo a fare sforzi, anche se non vediamo segni tangibili. A uno studente che una volta si era lamentato con il suo insegnante perché il suo mantra non funzionava, venne detto: “Come fai a saperlo?” “Fai il tuo lavoro”, disse l’insegnante, “e lascia che il mantra faccia il suo. Non puoi vederlo, ma stanno accadendo molte cose a livello sottile.”

ACCETTAZIONE

Nella fase del deserto dobbiamo permettere alle parti nascoste di noi stessi di prendere coscienza. Nel riconoscere queste parti, possiamo imparare a coltivare la compassione per noi stessi e gli altri. Occorre affrontare ciò che ci preoccupa e creare uno spazio per la guarigione. Dobbiamo accettare e offrire tutto il nostro cuore, sia il lato buono che quello cattivo, senza nascondere le nostre ferite emotive, la rabbia, la paura, il dolore, la vergogna e i desideri insoddisfatti. Nel Vangelo gnostico di Tommaso, Gesù dice: “Se produci ciò che è in te, ciò che produci ti salverà. Se non produci ciò che è in te, ciò che non produci ti distruggerà.” Non possiamo scappare dai nostri problemi, questi ultimi sono la nostra pratica spirituale.

budda blu

3. Resa e Grazia

Nell’ultima fase di aparabhakti, ci si focalizza principalmente sull’interiorità. Arriva un momento in cui abbiamo esaurito tutte le nostre forze e ci rendiamo conto di non poter fare di più. In quel momento, qualcosa in noi finalmente si aprirà e si lascerà andare: il nostro sé inferiore si arrenderà umilmente al Sé superiore. In questo atto di resa interna, ci apriamo alla ricezione della grazia. La luce del Divino scende e si manifesta, e il sé inferiore si eleva per abbracciarlo. Il senso di gioia è indicibile mentre le ondate di luce divina inondano il nostro essere, superano le barriere interne, purificano la nostra mente e il nostro cuore.

Tranne in rari casi, entriamo e usciamo da queste fasi ripetutamente. Mentre continuiamo a fare la nostra pratica, li attraversiamo a livelli progressivamente più profondi. Ogni volta che passiamo attraverso l’oscurità ed emergiamo nella luce, la nostra capacità di ricevere la grazia si espande ulteriormente. E questo, a sua volta, ci permette di approfondire ulteriormente la nostra pratica.

Nelle fasi iniziali della pratica, di solito il nostro ego tende a volersi identificare con gli atti di adorazione che compiamo: “noi” stiamo facendo lo sforzo e ci stiamo prendendo il merito. Ma in questa fase, al contrario, ci arrendiamo alle conseguenze delle nostre azioni e non ci soffermiamo più sull’identificarci come gli autori. Più siamo in grado di arrenderci, più è facile per noi diventare un canale per la Luce Divina, che si manifesta attraverso i nostri pensieri, parole e azioni. Questo atteggiamento corrisponde con il vero karma yoga, o servizio disinteressato.

I saggi e le Scritture esaltano il cammino del servizio e individuano i frutti delle nostre azioni come il sentiero più alto. Krishna dice nella Bhagavad Gita (12.12): “La concentrazione è meglio della semplice pratica e la meditazione è meglio della concentrazione; ma al di sopra della meditazione c’è la resa in amore del frutto delle proprie azioni, poiché la resa segue la pace.”

In questa fase, sperimentiamo di nuovo la dolcezza della luna di miele ma, questa volta, siamo più consapevoli perché abbiamo affrontato la nostra oscurità interiore e abbiamo acquisito saggezza, forza e compassione. Questo ci consente di agire nel mondo attingendo a un luogo profondo di quiete interiore, con più chiarezza e amore.

Le tre fasi di aparabhakti sono una preparazione per lo sviluppo della parabhakti, l’amore superiore. Coloro che hanno raggiunto la parabhakti affermano che in questo stato, jnana yoga e bhakti yoga sono la stessa cosa: andiamo oltre ogni forma e diventiamo un tutt’uno con la pura coscienza, la Realtà Assoluta.

Fino a quel momento, tuttavia, dobbiamo continuare a offrire tutto ciò che facciamo alla Divinità che risiede nel nostro cuore, che si tratti della pratica che compiamo, delle nostre attività quotidiane o delle relazioni con gli altri.

Come Coltivare Bhakti Yoga Nella Vita Quotidiana

alberi da coltivare bhakti yoga

L’amore divino è spesso paragonato all’amore umano per renderlo più comprensibile, ma mentre l’amore umano tende ad essere prepotente ed egoistico, l’amore divino è altruista e generoso. Possiamo trasformare le nostre relazioni – anche le più difficili – offrendo ciò che facciamo come servizio (karma yoga) alla Luce Divina. In questo modo, approfondiamo la nostra connessione con la nostra luce interiore. I Sutra Bhakti affermano che coltivando e approfondendo virtù, come la sincerità, la purezza, la compassione, la fede e l’umiltà, nelle nostre relazioni terrene; le raffiniamo e le rendiamo più armoniose, in modo che diventino un riflesso più chiaro del Divino.

Uno dei modi più semplici per comprendere il percorso della bhakti ed espandere il nostro atteggiamento devozionale è quello di trattare gli altri nel modo in cui vorremmo essere trattati. Il saggio ebreo Philo disse: “Sii gentile con tutti quelli che incontri perché stanno combattendo una grande battaglia”. Quando vediamo che qualcuno sta attraversando una dura giornata, offriamoci di aiutare, dire una preghiera o semplicemente ascoltare con cuore aperto e compassionevole.

Guariamo e alimentiamo le nostre relazioni. Se qualcuno ci ha fatto un torto, proviamo a vedere la situazione attraverso i suoi occhi. Accettando i nostri difetti, saremo in grado di tollerare e perdonare più facilmente i difetti degli altri. “C’è sempre grazia nell’amore”, Swami Rama disse, “Quella grazia si chiama perdono”.

Compiamo tutte le nostre azioni con amore, riverenza e devozione.

Non è necessario fare grandi cose per praticare il bhakti yoga. Nella sua autobiografia, Storia di un’anima, la suora carmelitana francese Santa Teresa di Lisieux (anche conosciuta come il “Piccolo Fiore di Gesù”) aveva descritto il suo percorso come la “Piccola Via”: “Mi sono impegnata soprattutto a praticare piccoli atti di virtù piuttosto velati; come ad esempio piegare i mantelli dimenticati dalle suore e cercare mille opportunità per renderli utili.”

Troviamo un modo per servire la nostra famiglia, i nostri amici e la nostra comunità in maniera naturale e spontanea, che si tratti di cucinare pasti, fare da babysitter in modo che il nostro amico possa andare a lezione di hatha, combattere per i diritti degli animali o essere fedele al nostro partner.

Trasformazione Attraverso L’amore – Bhakti Yoga

Il sentiero senza tempo dell’amore divino è vivo e importante oggi così come lo era ai tempi degli antichi saggi. Attraverso questo percorso, possiamo trasformare la nostra vita quotidiana da banale a sacra. Coltivando i principi di amore, compassione, gratitudine, resa e servizio disinteressato; possiamo preparare i nostri cuori e le nostre menti a ricevere la grazia dell’amore e della saggezza incondizionati. Diventiamo, dunque, gli strumenti del Divino: tutto ciò che facciamo è un’espressione di amore e devozione e le nostre vite diventano una celebrazione gioiosa.

tempio buddista bianco

14 Modi Per Praticare Bhakti Yoga

Qualunque sia la forma o l’aspetto di Dio per noi, ecco 14 tipologie di bhakti che ci aiutano a coltivare la devozione e ad aprire il nostro cuore alla grazia.

  • Cantare canzoni di lode al Divino, sia in gruppo che da soli.
  • Creare un altare con un’immagine o una rappresentazione preferita del Divino a cui offrire fiori, frutti o incenso; oppure fare adorazione internamente.
  • Meditare sull’immagine di Dio che abbiamo scelto. Visualizzare l’immagine — la faccia, i piedi, l’intera immagine o lo spazio tra le due sopracciglia — nel nostro cuore e concentrarsi su di essa.
  • Scegliere una relazione con Dio che sembri naturale. I Sutra Bhakti affermano che possiamo adorare il Divino come fosse un fedele servitore, un amico leale, un genitore amorevole o un amante devoto.
  • Apprezzare la meraviglia e la bellezza della natura, vedendola come una manifestazione del Divino.
  • Dire grazie e offrire il nostro cibo al Divino prima di mangiare o condividere un pasto.
  • Rinunciare a qualcosa, o temporaneamente come in una pratica per la Quaresima o in Ramadan, o in modo permanente come nella pratica dell’Omaggio dei nativi americani.
  • Purificare i pensieri e le azioni praticando il yama e il niyama.
  • Praticare il perdono e la compassione accettando i nostri difetti e quelli degli altri.
  • Essere umili facendo qualcosa che a nessun altro piace fare.
  • Allontanarsi dalla propria comfort zone per aiutare qualcun altro.
  • Tenere un diario per osservare come funziona la nostra mente. Trasmettere le nostre emozioni attraverso atti creativi.
  • Praticare l’esame di coscienza sviluppato da Sant’Ignazio di Loyola; ovvero riflettere coscientemente sugli eventi delle ultime 12 o 24 ore e notare dove durante il giorno abbiamo percepito la presenza di Dio.
  • Pregare per tutto il giorno, recitando soprattutto preghiere di gratitudine. Essere grati per i momenti piacevoli ma anche per quelli più difficili.

Adesso vorrei consigliarti una Lettura di Swami Rama che mi ha personalmente aiutato moltissimo nel mio percorso: La mia vita con i maestri himalayani